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libro secondo 213



Circostanze della sua prigionia. VIII. A questo incarceramento di Nevio pare che volesse alludere Plauto, il quale allora fioriva, in que’ due versi della commedia intitolata Miles gloriosus, ne quali egli dice (act. 2, sc. 2):

Nam os columnatum poëtae inesse audivi barbaro,
Quoi bini custodes semper totis horis accubant.

Il nome di barbaro dato qui a Nevio non è già nome di dispregio e d’insulto; ma come

    sapeva ove avesse trovato il Quadrio che Scipione singolarmente fosse da lui oltraggiato, e che questi perciò fosse il principale autore della disgrazia di questo poeta, lo ho poi trovato il fondamento dell’opinione del Quadrio, ch’è seguita ancora da altri. Gellio riferisce tre versi di Nevio (l. 6, c. 8), de’quali egli dice che fu quasi evidente ch’essi ferivano Scipion l’Africano il maggiore: propemodum constitisse hosce versus a Ca. Nevio poëta in eum scripios esse. Ecco gli accennati versi:

    Etiam qui res magnas manu saepe gessit gloriose,
    Cujus facta viva nunc vigent, qui apud gentews solus
    Praestat, eum suus pater cum pallio uno ab amica abduxit,

    Quindi può essere veramente che Scipione da Nevio offeso con questi versi ne punisse l’ardire col farlo chiudere in prigione. Ma come Gellio dice solo che fu quasi certo che il poeta volesse punger con questi Scipione, e dall’altra abbiamo i versi in cui lo stesso Nevio morde nominatamente Metello, non parmi che l’opinione del Quadrio sia ancora abbastanza provata. Qui pure doveansi accennare i versi pieni, come dice Gellio (l. 1, c. 24), di Campana arroganza, che Nevio avea composti, perchè fossero incisi sul suo sepolcro; il qual autore ancor riferisce que’ che da Plauto e da Pacuvio erano stati composti al fine medesimo, dal primo con non minore alterigia, dal secondo più modestamente assai.