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228 | parte terza |
di Tommaso Pope Blount (Censura celebriorum Auctorum) e di Adriano Baillet (Jugement des Sçavans, ec.), in cui hanno raccolto i pareri degli uomini dotti su’ dotti scrittori, e si conoscerà a prova che la medesima discordanza che vi ha tra gli uomini nel gusto che dipende da’ sensi, havvi ancora nel gusto ch’è proprio dell’intelletto. Maggior maraviglia ci può recare il riflettere che concordi in ciò non furono neppur gli antichi. Varrone soleva dire che se le Muse volessero latinamente parlare, non altro stile userebbono che quel di Plauto (Quint. l. 10, c. 1). Cicerone chiama gli scherzi di Plauto eleganti, colti, ingegnosi e faceti (De Offic. l. 1, n. 29). Orazio al contrario riprende gli antichi Romani (De Art. Poët.) che i motti e gli scherzi di Plauto troppo buonamente, per non dire scioccamente, lodarono. Io penso che l’uno e l’altro parere si possano di leggieri conciliare insieme. Plauto ha certamente uno stile grazioso, naturale e faceto: e i popolari costumi vi son dipinti con colori vivi al sommo e leggiadri. Ma egli sa ancora talvolta dell’antica rozzezza, e ciò che è peggio, agli scherzi onesti ed urbani molti ne aggiugne spesso indecenti e vili. Ma di Plauto ci tornerà occasione di ragionare quando favellerem di Terenzio, e l’uno coll’altro di questi due comici confronteremo.
Notizie di Cecilio Stazio e di Pacuvio.
XX. Più altri poeti ancora compositori di tragedie e di commedie fiorirono al tempo stesso, cioè verso il fine del secol sesto di Roma. Ma il trattenermi a lungo in ciò che a loro appartiene, recherebbe per avventura noia