Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo I, Classici italiani, 1822, I.djvu/286

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libro secondo 237

di sì grande diversità? Non certo la dissomiglianza degl’ingegni, o la diversa indole delle lingue. Perciocchè se in altre cose poterono i Romani uguagliar presto e superare ancora i Greci, perchè nol poterono in questa ancora? Io penso che tutta estrinseca fosse la ragione di tal mancanza, e quella appunto che Cicerone ne reca, cioè che in poco onore furono per lungo tempo i poeti, e che perciò quanto meno erano essi pregiati, tanto minore si fu lo studio della poesia; perciocchè, soggiugne lo stesso Tullio, l’onore è quello che alimenta le arti, e sempre dimenticate si giacciono quelle cose che non riscuotono lode (Quaest. Tuscul. l. 1, n. 2). Noi veggiamo di fatto che tutti i più antichi poeti, e la più parte ancora di quelli che venner dopo, de’ quali abbiamo finora parlato, furono e di vil nascita e stranieri; e se Lelio e Scipione non si sdegnarono di unirsi a Terenzio per comporre commedie, non vollero però giammai che cosa alcuna apparisse sotto il lor nome. Così piaceva in Roma la poesia, piacevano i poeti, ed eravi ancora chi gli amava e gli proteggeva; ma ciò non ostante non era in quell’onore l’arte di poetare, che convenuto sarebbe, perchè i Romani con impegno prendessero a coltivarla; ed era anzi considerata come un piacevol trastullo che dagli stranieri procurar si dovesse a’ Romani lor vincitori, che come un pregevole ornamento di cui ad essi ancor convenisse mostrarsi vaghi. E questa probabilmente fu ancor la ragione per cui in questo secolo la teatral poesia, cioè la più dilettevole, maggiormente fu coltivata. Ma venne