Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo I, Classici italiani, 1822, I.djvu/380

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LIBRO TERZO 33 I Quidquid id est, ut non facinus, sic culpa voeauda estOmnis at in magnos culpa Deos, scelus est. L. 1 de. Ponto, el. 7. Questo sentimento medesimo ripete egli spesso; e una volta fra le altre introduce Amore che a lui favellando, dopo averlo per suo conforto con autorevole decisione assicurato che ne’ suoi libri amorosi nulla si conteneva di reo, così soggi ugno: Utque hoc. sic utinam defendere cetera posses: Scis aliud, quod te laeserit, esse magis. Quidquid id est, neque enim debet dolor ille referri , Non potes a culpa dicere abesse tua. Tu licet erroris sub imagine crimen obumbres, Non gravior merito vindicis ira fut. L. 3 de Ponto, el. 3. XXXV. Tutti questi passi ho io voluto qui riferire, perchè tutti sono necessarii e a mostrare quanto poco fondate siano le altrui opinioni , e a confermare, se mi venga fatto? in qualche modo la mia. Veggiamo prima che ne abbiano pensato altri. Appena merita di essere riferita l’opinione dell’autore delle Vite compendiose degl’Imperadori attribuite ad Aurelio Vittore, il quale dice che Ovidio fu esiliato pro eo quod tres libellos amatoriae artis conscripserat; opinione eli’ è la più ricevuta tra’ ’l volgo, ma che da’ passi finor recati si convince evidentemente di falsità; perciocchè un altro delitto fu certamente la principal cagione della sventura di Ovidio. Sidonio Apollinare, come abbiam detto, è il più antico scrittore