Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo I, Classici italiani, 1822, I.djvu/404

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LIBRO TERZO 355 ¿etto Siro dalla sua patria, era stato condotto schiavo a Roma, e poscia per le sue facezie posto in libertà. Plinio fa menzione (l. 35, c. 17) di un Publio cui chiama mimicae scenae conditorem; e sembra a prima vista che non d’altri debba intendersi che di quello di cui parliamo. Ma Plinio dice ch’egli era stato veduto venire a Roma da’ suoi bisavoli: videre proavi; e quindi, come riflette il P. Arduino, un Publio più antico dee qui intendersi, e non il Siro che anche dal padre di Plinio sarebbesi potuto vedere; poichè questi visse ancor qualche tempo sotto l’impero di Augusto. Alcuni frammenti di ambedue questi scrittori e alcuni lor detti ci sono stati conservati da Macrobio (l. 2 Saturn. c. 3 e 7), e da Gellio (l. 3, c. 18;l. 10, c. 17; l. 17, c. 14); e molte delle lor morali sentenze sono state raccolte insieme, e più volte stampate; di che si può vedere il Fabricio (Bibl. lat. l. 1, c. 16). Alcuni altri scrittori di mimiche azioni si trovano mentovati presso gli antichi autori. Ma basti l’aver detto di questi due che furono i più famosi. LI. Prima di passar oltre, parmi che una non inutil quistione debbasi a questo luogo trattare; cioè per qual ragione, mentre in ogni altro genere di poesia arrivarono i Romani a gareggiare co’ Greci, nella teatral solamente rimanessero sempre tanto ad essi inferiori. Abbiamo nella seconda epoca toccate alcune ragioni alle quali si può attribuire l’essere la poesia teatrale de’ Romani rimasta per lungo tempo rozza e imperfetta. Ma è più difficile trovar ragione per cui anche nel più bel secolo della