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366 parte terza

varietas multitudoque in omni genere causarum, ut ad eam doctrinarn, quarti suo quisque studio assequutus esset, adjungeretur usus frequens, qui omnium magistrorum praecepta superaret. Erant autem huic studio maxima, quae nunc quoque sunt, proposita praemia vel ad gratiam, vel ad opes, vel ad dignitatem1. Così da tutti questi motivi portati allo studio dell’eloquenza i Romani, non è maraviglia che vi giugnessero a tal perfezione che potesse destar timore ne’ Greci di esserne superati. La bellissima ed esattissima storia che

  1. Alle cagioni che concorsero a fare che l’eloquenza avesse in Roma sì pronti e sì felici progressi, si può aggiungere ancor quella che recasi dall’ab. du Bos (Refléxions sur la Poésie, ec. t. 3, p. 134, ec.). L’Eloquenza, dice egli, non sol conduceva alla più luminosa fortuna, ma era ancora, per così dire, il merito alla moda. Un giovane nobile, e di que’ che talvolta leggiadramente si dicono il fior più fino di Corte, vantavasi di perorar bene e di difendere con applauso le cause degli amici ne’ tribunali, come oggi si vanta di avere un bell’equipaggio ed abiti di buon gusto; e nei versi che in lode di lui si facevano, rammentavasi ancor l’arte di ben parlare. Ei ne cita in prova questi versi di Orazio con cui egli parlando a Venere di un cotal giovane, così le dice:

    Namque et nobilis et decens
         Et pro sollicitis non tacitus reis,
    Et centum puer artium
         Late signa feret militiae tuae.

    Carm. l. 3, od. 1.

    In tal maniera il genio ancora e la moda concorre a promuovere le scienze, e il desiderio di piacere rende dolce a soffrirsi quella fatica nel coltivarle, che altrimenti sembrerebbe gravosa troppo e insopportabile.