Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo I, Classici italiani, 1822, I.djvu/424

Da Wikisource.

Libro terzo 3^5 Di lui parla più a lungo il Funccio che ne ha raccolte dagli antichi scrittori le più minute notizie (De Virili Aetate Ling. Lat. vol. 2, p. 10, ec.). Il rivale però, che più a lungo contrastò a Tullio il primato dell’eloquenza, ma che insieme gli fu amico, fu Quinto Ortensio, di cui di fatto egli parla con più gran lode». Era egli di otto anni soli maggiore di Cicerone (De Cl. Orat n. 64); e di età assai giovane, cioè di soli venti anni, cominciò a dar saggio della sua eloquenza nel foro innanzi a’ consoli L. Crasso da noi mentovato di sopra e Q. Scevola (ib.). Erano questi uomini che meglio e più sicuramente ili ogni altro potevano giudicare del valore e dell1 eloquenza di alcuno; e appena udirono Ortensio, che di gran lodi lo onorarono e ne concepirono non ordinarie speranze. Quindi con ragione affermò Tullio (ib. n. 88) che l’ingegno di Ortensio appena fu veduto e scoperto, a guisa appunto di una statua di Fidia, fu ammirato e lodato. E di vero, prosiegue il medesimo Cicerone, avea egli tutte le doti che a formare un valente oratore sono richieste: memoria sì grande che qualunque cosa avesse egli tra se medesimo pensata e meditata, spiegavala senza scriverne sillaba con quelle stesse parole con cui l1 avea pensata; e quindi di quanto avesse egli o meditato, o scritto, di quanto si fosse detto dagli avversarii!, ricordavasi esattamente: impegno e ardor così grande nello studio, quanto dice Cicerone di non aver mai veduto in altri, talchè non era giorno in cui o non si fosse esercitato nel Foro, o col domestico studio non si fosse