Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo I, Classici italiani, 1822, I.djvu/444

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LIBRO TERZO 3n5 di cui tra poco avremo a parlare, ove un certo Apro biasima l’eloquenza di Cicerone, la quale poscia da altri è difesa e lodata. Il sentimento di Apro è stato esaminato ancora e confutato in una dissertazione inserita nelle Memorie di Trevoux (an. 1718, mars, p. 552). Non tratterrommi qui a favellare d’alcuni altri moderni che di Cicerone hanno portato non troppo favorevol giudizio. A me basta il riflettere che niuno di essi ha avuto fama di grande oratore, nè di colto ed elegante scrittore. Così essi, mentre han voluto riprendere e screditar Cicerone, ne hanno insieme fatta l’apologia, mostrando col loro esempio medesimo che un tal disprezzo non può cadere che in uomo di mediocre e travolto ingegno. XVfl. Nè solo abbiamo in Cicerone un perfetto esempio, ma sì ancora un eccellente maestro di eloquenza. I libri da lui scritti intorno all’arte oratoria contengono i più giusti, i più esatti, i più minuti ammaestramenti che giovar possano a formare un valente oratore. E mentre egli viene svolgendo, quali virtù gli convengano, in quali scienze debba essere istruito, a quante cose debba por mente nello scrivere e nel favellare, viene al medesimo tempo formando una perfetta immagine di se stesso, a cui niuna mancò certamente di quelle doti che egli in un perfetto oratore richiede. Egli non si sdegna di scendere fino alle più minute circostanze della collocazione delle parole, della quantità delle sillabe, dell’armonia diversa che ne risulta, e di altre somiglianti cose che solo da’ piccioli ingegni si stiman picciole. So che