Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo I, Classici italiani, 1822, I.djvu/468

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LIBRO TERZO 4*9 aver raccontalo nelle sue Storie che Verre morì con singolare costanza, avea poi narrata la morte di Cicerone in maniera odiosa e maligna (Suasor. 7). L’eloquenza di questo grand’uomo era quella che sopra ogni altra cosa gli destava in cuore un’invidia e una gelosia indegna d’uomo nobile e dotto. Pare ch’egli si fosse prefisso di oscurarne la gloria, e di superarlo in onore. E questo suo disegno si fe’ palese singolarmente in una occasione di cui parla lo stesso Seneca (ib.). Un certo Popilio Ena avea preso a recitare un suo poema sulla morte di Cicerone in casa di Messala Corvino, ove con altri era presente Pollione. Diè principio il poeta a’ suoi versi con questo: Deflendus Cicero est, Latiaeque silentia linguae. Il che appena udito da Pollione, sdegnatone altamente, e rivoltosi a Messala, Di ciò, gli disse, che si convenga fare in tua casa, tu stesso ne giudica. Ma io certo non tratterrommi a udire costui, a cui sembra ch’io sia mutolo. Voleva egli in somma esser creduto orator troppo migliore di Cicerone) e perciò, come racconta Quintiliano, egli, e ancora il di lui figliuolo Asinio Gallo presero a morderne l’eloquenza e lo stile, e a volervi trovar difetti: Vitia orationis ejus e ti am inimico pluribus in locis insequuntur (l. 12, c. 1). E abbiamo già veduto di sopra che il figlio ardì poi di scrivere un libro in cui la eloquenza di suo padre anteponeva a quella di Cicerone. Così Pollione di tutti i migliori e più colti scrittori romani parlava con biasimo e con disprezzo , per lai