Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo I, Classici italiani, 1822, I.djvu/476

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LIBRO TERZO 427 che ne parla con lode. Ma l’opera di Attico singolarmente era tale , che troppo dobbiam dolerci che non sia fino a noi pervenuta. Da ciò che ne dicono Cornelio Nipote (in Vit. Attici) e Cicerone (De Cl. Orat. n. 3, 4? e Orat. n. 34), noi veggiamo che avea egli con somma diligenza raccolto quanto di memorabile era accaduto dalla fondazion di Roma fino a’ suoi tempi; le guerre, le paci, le leggi tutte, e la genealogia ancora che più illustri famiglie, segnando in qual tempo precisamente fosse seguita ogni cosa. In oltre un libro aveva scritto in greco della storia del consolato di Cicerone. Varrone ancora, di cui parleremo più sotto, molte cose avea scritte ad illustrare la storia romana. Ma quegli le cui storie sopra le altre piacer dovettero a Cicerone, fu L. Lucceio. Egli, quando ebbele in mano, tanto ne fu rapito, che invaghissi di avere un tale scrittore delle cose da se operate. È nota la lettera da lui scritta per esortarlo a intraprendere un tal lavoro (l. 5, ad Famil. ep. XII.). Checchè ne dica il Middleton, non si può a meno di non ravvisare in essa quella debolezza che anche ne’ più grandi uomini produce talvolta la vanità. Ma ognuno sa che da questa passione non seppe troppo difendersi Cicerone. Questi però non avrebbe certo bramato di aver a suo storico Lucceio, se non avesse avute in gran pregio le storie da lui scritte. Lucceio erasi piegato alle preghiere di Tullio, e aveagli promesso di scriver la storia del suo consolato (l. 4 ad Attic. ep. 6). Ma non sappiamo se conducesse ad effetto questo suo pensiero. Certo