Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo I, Classici italiani, 1822, I.djvu/478

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LIBRO TERZO ^29 pervenuti, cioè di Cesare, di Sallustio e di Cornelio Nipote (*). IH. Io parlo a questo luogo di C. Giulio Cesare, perchè le sue opere storiche sono le sole che ci siano rimaste; ma egli potrebbe a ragione essere annoverato tra’ coltivatori di qualunque siasi scienza, poichè in fatti niuna quasi ve n’ebbe, a cui egli felicemente non si applicasse. Egli fu certamente uno de’ più grandi, e direi quasi prodigiosi uomini che mai vivessero. E forse in tutta la storia non sarebbe alcuno che con lui si potesse paragonare, se la sua ambizione col renderlo fatale a Roma non ne avesse in gran parte oscurati i meriti, In lui si videro con rarissimo esempio raccolti tutti que’ pregi che formano un gran guerriero, un gran principe, un gran letterato. Ma noi nol dobbiamo considerare che sotto quest’ultimo aspetto. Non vi fu mai uomo che dovesse naturalmente esser più rozzo nelle scienze, e a cui minor tempo sopravanzasse per coltivarle. (’) Il sig. ab. Lampillas mi sgrida qui aspramente (t. 1 , p. 29) perchè io non ho parlato di Cornelio Balbo spagnuolo, vissuto in ltoma, uoin dotto, protettore de dotti e autore di alcune opere storiche ora perdute; e valendosi del suo diritto di penetrare le alimi intenzioni, afferma francamente ch’io non l’ho nominato , perchè non poteva annoverarlo tra i corruttori dell’eloquenza, lo proiesto innanzi agli uomini onorati e saggi che il solo motivo per cui non l’ho nominato, è stato perchè me ne sono dimenticato: cosa che mi è accaduta anche riguardo ad alcuni dotti italiani, come il seguito di queste g.unte farà palese. Se il sig. ab Larapillas non mi vuol dar fede, 10 noi costrmgeiò a farlo.