calamistris inurere; sanos quidem homines a scribendo deterruit: nihil enim est in historia pura et illustri brevitate dulcius. Dopo il qual elogio, qualunque cosa dicasi Pollione, il quale, come già si è detto, tacciava di negligenza i
Commentarii di Cesare, egli soffrirà in pace che a Cicerone più che a lui prestiam fede. Forse più giustamente egli accusò Cesare di avere in alcune cose alterata la verità: poichè non è inverisimile che l’amor della gloria gli reggesse talvolta la penna, e lo inducesse o a
dissimulare, o a rivestire di più favorevol colore alcune cose. E il Vossio alcuni passi in
particolare ha osservati De Hist. lat. 1.1, c. 13)
ne’ quali Cesare di qualche dissimulazione ha
usato. Ma in ciò eh’è eleganza e proprietà di
stile, egli è certo che non vi ha forse autore
che a lui si possa paragonare, detto per ciò
a ragione da Tacito Summus auctorum (De
Morib. German, c. 28). Ciò ch’è più a stupire,
si è ch’essi, per detto di Irzio che ne fu testimonio, furono da lui scritti con somma fretta.
Del che, dic’egli (praef. ad l. 8 Bell. Gall.),
noi più che ogni altro abbiamo a maravigliarci.
Perciochè gli altri veggono solo quanto bene
ed esattamente egli abbia scritto; noi abbiamo
ancora veduto con qual facilità e con qual
prestezza egli scrivesse. Dopo ciò, io non posso
rammentar senza stomaco la prodigiosa sciocchezza di qualche moderno scrittore rammentato dal Fabricio e dal Vossio, che de’ Commentarii di Cesare volle fare autore Svetonio.
Di un’altra opera intorno alla sua propria vita
scritta dallo stesso Cesare, di qualche dubbioso