Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo I, Classici italiani, 1822, I.djvu/492

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. LIBRO TERZO 44^ riprendere in Cicerone, che credeva negligentemente scritti i Commentarii di Cesare, e che scopriva in Livio un certo stil padovano di cui altri non si avvedeva, non possa in questo passo, il più eloquente di tutte le sue storie, venire al confronto nè con Livio, nè con Cesare , nè con Cicerone. Ma ritorniamo agli storici. X. Ottavio Augusto vuole egli ancor tra gli storici essere annoverato. Svetonio racconta (in • ytugust. c. 85) che parte della sua vita aveva’ egli scritto divisa in tredici libri. Pare che fosse questo il costume di tutti gli uomini grandi del tempo di cui parliamo, di scrivere essi stessi le loro imprese. Emilio Scauro, Lutazio Catulo, Cornelio Silla, Cesare e Cicerone ne avean dato l’esempio. Augusto, ed anche M. Vipsanio Agrippa di lui genero, come prova il Vossio (De Hist. lat. l. 1, c. 18), gl’imitarono. Volevan essi tramandare il lor nome e la memoria delle cose da essi operate alla posterità; ma consapevoli a se stessi che non tutte le loro azioni eran degne di encomii, volevano essi stessi farne il racconto e formare il proprio loro ritratto con tal destrezza, che coprendo le macchie il rendesse vago a vedersi. Ma troppi erano gli scrittori a quel tempo, perchè la loro arte ottenesse il bramato effetto. Plinio ci ha conservato un frammento di Augusto, che sembra tratto dalla vita che di se medesimo egli scrisse. Ed io qui recherollo, perchè ognun veda che colto ed elegante era lo stile di cui egli usava. Così dunque ha Plinio (l.2,c. 25): Cometes in uno totius orbis