Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo I, Classici italiani, 1822, I.djvu/522

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LIBRO TERZO 47^ fossero fra loro discordi; da altri asserirsi l’esistenza della Divinità, negarsi da altri; alcuni volere che dopo morte l’anima sopravviva, altri che colla morte ogni cosa abbia fine; l’anima dagli uni dirsi corporea, incorporea dagli altri 5 e il reggimento del mondo da chi assegnarsi alla provvidenza degli Iddii, da chi al destino, da chi al caso; alla prova di ogni sistema addursi ragioni, addursi autorità; ed ogni sentenza aver seguaci per sapere, ed anche talvolta per probità rinomati. Noi veggiamo Cicerone dolersi spesso di questa sì grande contrarietà d’opinioni. Itaque cogimur, dice egli (Acad. Qu. l. 4 > n- 41)> dissensione sapientum, dominum nostrum ignorare; e poco dopo Qua de re igitur inter summos viros major dissensio (loc. cit. n. 42)? Qual maraviglia dunque ch’egli si mostri spesso dubbioso e incerto a qual sentenza rivolgersi! Aggiungasi inoltre ch’egli, uomo di perspicace ed acuto ingegno, dovea conoscere chiaramente la fievolezza di quelle ragioni che a prova di molte loro opinioni da’ filosofi si adducevano; e io penso certo che in cuor suo ei si ridesse di que’ tanti e sì prodi Iddii, dei quali per altro ragionando al popolo suole parlare con sì grande rispetto. E come poteva in fatti un uom saggio e ingegnoso persuadersi dell’esistenza di quegli Iddii de’ quali sì bizzarre cose si raccontavano da coloro che n’erano adoratori? Ma dall’altra parte , benchè ei vedesse quanto sciocca e ridicola fosse la superstizione del gentilesimo, non avea luce bastante a scoprire il vero. I dogmi della religion vera, parlando della sola