Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo I, Classici italiani, 1822, I.djvu/523

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VII. Ei non si lega ad alcuna setta determinata. 474 PARTE TERZA religion naturale, son tali che dallo stesso lume della ragione ci vengono insegnati; ma ciò non ostante, se questo non è da soprannatural lume rischiarato, appena è mai che l’uomo arrivi con esso a chiaramente scoprirli; perchè appena è mai che nell’uomo abbandonato a se stesso questo lume medesimo della ragione non sia dalle ree secondate passioni oscurato e poco meno che estinto. In tale stato d’oscurità e d’incertezza dovea trovarsi Cicerone; conoscere la falsità delle filosofiche opinioni intorno alla religione; vedere, ma come da lungi e involto in dense tenebre, il vero che egli andava cercando; e non arrivare giammai ad accertare qual cosa ei creder dovesse, e qual rigettare. VII. In questa diversità di opinioni, in questo suo incerto ondeggiar di pensieri, l’unico partito a cui Cicerone doveva credere di potersi appigliare, era quello appunto ch’ei prese, di non legarsi, per così dire, ad opinione alcuna determinata; ma di esaminar ogni cosa, di ponderar le ragioni d’ogni sentenza, e di astenersi dal pronunciar decidendo ciò che si avesse a creder per certo, ma solo abbracciare come verisimile quell’opinione che con probabili ragioni si sostenesse. Questo era il costume della setta che dicevasi accademia. Cum Academicis, dice egli stesso (De Finib. l. 2, c. 14), incerta luctatio est, qui affirmant, et quasi disperata cognitione certi, id sequi volunt, quodcumque verisimile videatur; nel che distinguevasi da altri più antichi Accademici, che a miglior ragione scettici avrebbon dovuto chiamarsi, i quali di ogni cosa volevano che si