Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo I, Classici italiani, 1822, I.djvu/595

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’ 1^ paute terza solemú onori si decretassero al defunto. Recitò a <n Cicerone la nona delle sue Filippiche, die i ho in somma non è che un’orazion funebre . u*Plc,Oj cd un perfetto modello di tali ragionamenti. Essa non si può leggere senza un dolce senso di tenerezza, e ben si scorge che I oratore non cerca di adular la memoria dell’estinto amico, ma tutti passini latamente esprime i sinceri sentimenti del suo cuore. Un sol passo io qui recheronne proprio dell’argomento di cui trattiamo, ove Cicerone loda l’insigne saper di Sulpicio nella giurisprudenza: Nec vero silebitur, dic’egli (n. 5), admirabilis quaedam, et incredibilis et pene divina ejus in legibus interpretandis, aequitate explicanda,, scientia. Omnes ex omni aetate, qui hac in civitate intelligentiam juris habuerunt, si unum in locum conferantur, cum Ser. Sulpicio non sunt comparandi. Neque enim ille magis juris consultus quam justitiae fuit. Itaque quae projieielnntur a le gibus et a jure civili, semper od facilitatcm aequit/tleniqnc refer i ut, ncque constituere litium actiones malebat, quam controversias tollere. Ma tutta degna è il esser letta questa patetica eloquente orazione, c singolarmente il decreto con cui egli la conchiude , proponendo al senato che una pedestre statua di bronzo a pubbliche spese si alzi a Sulpicio nel foro, intorno a cui si facciano solenni giuochi 5 che l1 onorevol cagion di sua morte scolpita sia nella base, e che a lui si rendano i più solenni onori che a’ più grandi uomini e a’ più benemeriti della repubblica rendere si solevano. Il parere di Cicerone fu interamente seguito; »