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Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo I, Classici italiani, 1822, I.djvu/634

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LIBRO TERZO 585 XHI. Della biblioteca da Pollione eretta nell’atrio della Libertà , e di quella di Augusto nell’atrio di Apolline fa menzione anche Ovidio, allor quando con leggiadrissima fantasia introduce a favellare il suo libro (l. 3 Trist. el. 1) che da lui mandato a Roma entra timoroso in città, e va intorno cercando chi per pietà lo raccolga, e così parla a coloro che in lui s’incontrano: Dici le , lectores , si non grave, qua sit eundum, Quasque petam sedes hospes in urbe liber. Quindi finge che uno mosso di compassione prenda a condurlo per le diverse vie di Roma, e fra le altre al tempio di Apolline e alla prossima biblioteca sul colle Palatino. Esso vi entra, ed esaminando que’ libri vi cerca i suoi fratelli, cioè gli altri libri da Ovidio composti, trattine quelli che il comune lor padre non vorrebbe aver mai pubblicati. Ma mentre ne cerca, il troppo severo bibliotecario gli viene innanzi, e gli comanda di uscirne tosto: Inde timore pari gradibus sublima celsis Ducor ad intonsi candida templa Dei; Signa peregrinis ubi sunt alterna columnis , Belides, et stricto barbarus ense pater; Quaeque viri docto veteres fecere novique Pectore, lecturis inspicienda patent. Qua’ rebam fratres, exceptis scilicet illis, Quos suus optaret non genuisse pater. Quaerentem frustra custos e sedibus illis Praepositus sancto jussit abire loco. Il libro infelice così bruscamente cacciato si volge all’altra biblioteca, la prima pubblica, dice, che fosse aperta in Roma nell’atrio della