Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo I, Classici italiani, 1822, I.djvu/649

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6oO IURTE TERZA di questi due principi avesse gran parte il desiderio di adulare e di compiacere a’ Romani; il che certo è probabile. Ma ciò non ostante, se valorosi architetti essi non fossero stati, non pare che prescelti gli avrebbono ad opere così famose, perciocchè a vergogna lor propria sarebbe tornato, se il lavoro non fosse riuscito a quella bellezza e a quella magnificenza che si conveniva (a). Un Valerio di Ostia architetto a1 tempi di Cicerone ci rammenta Plinio (l. 36, c. i5). Ma molti architetti greci ancora furono in Roma. Tale esser dorea quel Ciro che spesse volle si nomina da Cicerone (Ad Att. I. a, ep. 3; Fornii. I 7, ep. 24, ec.) il quale di lui valevasi ad architetto. L’età di Cesare e di Augusto vide la magnificenza de’ privati e de1 pubblici edifica condotta in Roma a quell1 eccesso di grandezza e di pompa a cui 11011 era giunta, nè ghignerà forse mai. Ma la descrizione di essi alla storia del lusso appartiene e non alla storia della letteratura. Non mi tratterrò io dunque a ragionarne distesamente, rimettendo chi voglia saperne alle belle descrizioni che Plinio ci ha lasciate de’ teatri di Scauro e di Curione, degli acquedotti di Quinto Marcio, e di altri portentosi edifica che a questo tempo erano in Roma (l. 36, c. 15, ec.); e porrò fine a questa Parte colf osservare, eh1 ella è comune opinione che f arcliitettura a1 (a) Quanto allo stalo dell’architettura e degli architetti del tempo di Augusto, veggansi anche le Memorie degli Architetti del sig. Milizia (tom. 1 , p. 53, ec., ediz. Bassan. l’jHó).