Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo I, Classici italiani, 1822, I.djvu/96

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altre edizioni, non però tale che sia di gran rilievo. Or se tai versi eran veramente nel tempio di Ardea a’ tempi di Plinio, io mi maraviglio ch’egli, uomo critico e dotto più che qualunque altro de’ tempi suoi, li potesse credere (se pur egli così credette) fatti a’ tempi sì antichi; e mi maraviglio ancora che niuno (ch’io sappia) degli editori e de’ commentatori di Plinio abbia a ciò posto mente. Supponiamo ancora che prima della fondazione di Roma usata fosse la lingua latina; non v’ha chi non sappia quanto diversa ella fosse da quella che veggiamo usata da’ posteriori scrittori. Basta vedere i frammenti che ne sono stati raccolti, e quegli ancora del quarto e del quinto secolo di Roma, per conoscere che i versi da Plinio riferiti non possono in alcun modo appartenere ad età sì remota. Che dirne dunque? Io proporrò varie conghietture; e tra esse gli eruditi sceglieranno ciò che più loro piaccia. Plinio dice che i versi erano scritti in antichi caratteri latini. Non giova qui il cercare quali essi fossero; ma forse erano tali che a’ tempi di Plinio più non s’intendevano. Quindi se ne cercava il senso indovinando, come or si fa de’ caratteri etruschi, e il sentimento indovinando raccoltone si poneva colle parole allora usate. Forse que’ versi erano stati aggiunti alcuni secoli dopo le mentovate pitture, e il sentimento ne era fondato su qualche popolar tradizione o vera, o falsa. Forse Plinio a questo luogo non parla di quelle stesse antichissime dipinture di cui avea di sopra parlato, ma di altre al tempio di Ardea aggiunte nelle età posteriori.