Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo II, Classici italiani, 1823, II.djvu/102

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eondannò a uccidersi da se medesimo; poichè il giovane infelice dopo aver dolentemente pregato alcun degli astanti ad ucciderlo, ricusandolo essi, si vide costretto a chieder loro in grazia, che almeno per pietà gli additassero ove potesse ferirsi per avere più presta morte; di che istruito si die’ il fatal colpo (Philo de Legat. ad Cajum). D’allora in poi non tenne misura alcuna. Rei e innocenti, patrizj e plebei senza sorta alcuna di processo barbaramente uccisi; e adoperati perciò i più crudeli e più lunghi tormenti per compiacersi più lungamente delle loro sofferenze; giacchè pareva che il più dolce spettacolo per Caligola fosse l’udire le lamentevoli grida, e veder gli smaniosi»contorcimenti di coloro eli’ erano tormentati. Abbandonato alle più brutali disonestà, voleva nondimeno essere adorato qual dio , e in tutti i tempj, e perfino in quello di Gerosolima, voleva che gli fossero innalzate statue ed altari; degno al certo di tali onori al pari del suo cavallo cui pazzamente meditava di far suo collega nel consolato. E frattanto la maestà del senato romano ordinava annui sacrifizj alla clemenza di questo dio, e co’ nomi di veracissimo e di piissimo onorava questo orrido mostro (Dio. l. 59).

V. Sotto un tale impero qual doveva esser lo stato della romana letteratura? Aveva egli veramente, lasciato ogni altro studio da parte, coltivata assai l’eloquenza, per cui sortito avea dalla natura e copiosa facondia e memoria felice e voce alta e canora (Svet. in Calig. c. 23). Nemico di una ricercata eleganza, e solito Tuuboschi, Voi. II. 5