che i suoi versi letti fossero e dettati a modello di perfetta poesia nelle pubbliche scuole
(Persius sat. i, v. 29; V. Interpretes); mandare qua e là per Roma uomini prezzolati a
recitarli, e riputare rei di lesa maestà coloro
che non gli approvavano (Philostr. in Vita
Apollonii l. (4, c. 13); salire egli stesso sul
teatro a sonarvi la cetra, e a rappresentar commedie e tragedie; e non contento di far ciò
in Roma, andarsene anche a mostrare ai Greci
sì disonorevole oggetto (Dio. l. 61, c. 63). Ma
io non so se fosse spettacolo più mostruoso
vedere un imperador romano divenuto attore
di scena, o vedere la città tutta con vergognosa adulazione applaudirgli. Potrebbe parere
vantaggiosa alle lettere l’istituzion da lui fatta
dei combattimenti di eloquenza e di poesia,
che ogni quinto anno si celebravano nel Campidoglio, e detti erano Capitolini. Ma qual pro,
se l’unico frutto che se ne vide, fu f impiegarsi gli oratori tutti e i poeti in adulare Nerone, e in dare a lui sopra tutti la preferenza
(Tac. l. 14, c. 21; l. 16, c. 2)? Quindi questo
impegno di Nerone per la poesia, non che essere ad essa giovevole, fu anzi a molti dotti
fatale, come vedremo a suo luogo (4). Qui basti
accennare per saggio ciò che narra Dione (l. 62),
cioè che Nerone avendo in idea di scrivere un
(a) A qualche uomo erudito mostrossi Nerone splendido e liberale, perciocché, se crediamo a Suida, fu
presso lui un Didimo figliuol di Eraclide, poeta insieme e gr.unatico e musico valoroso, e vi raccolse
motte ricchezze.