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negletti. Ma a ciò si aggiugne l’avversione che Domiziano ne avea. Al tempo di Vespasiano, per uguagliarsi nell’amore del popolo al suo fratello Tito, finse di essere amante degli studj, e della poesia singolarmente, e facevasi talvolta udire a recitare pubblicamente suoi versi (Svet. in Domit. c. 2; Tacit. l. 4 hist c. 86). Ma passato il tempo di fingere, egli non impiegò più alcun momento allo studio della poesia, o della storia, o di altra scienza; e al bisogno di scrivere lettere, orazioni ed editti, valevasi dell’opera altrui; e il solo libro ch’egli leggesse, erano gli atti e la vita di Tiberio, quasi modello su cui formarsi all’impero (Svet. c. 20). Due sole cose troviamo da lui fatte a vantaggio delle scienze, l’una il rinnovare i letterarj combattimenti in Roma ogni cinque anni, istituiti già da Nerone (Svet. c. 4 e 13; Quint. l. 3, c. 7), e insieme stabilire somiglianti giuochi da celebrarsi in Alba ogni anno, i quali latinamente diceansi quinquatria (Svet. c. 4; Dio. l. 67); l’altra il rifabbricare le incendiate biblioteche, e raccoglier per ciò gran quantità di libri, come a suo luogo vedremo. Ma poco potevan giovare tali aiuti, se la crudeltà e la tirannia del suo governo teneva, per così dire, schiavi gl’ingegni. lutale stalo duraron le cose fino all’anno di Cristo 96, in cui Domiziano fu ucciso per man di un liberto di Domitilla sua madre. E dopo un secolo quasi continuo di orrori, di brutalità, di stragi, un nuovo ordin di cose si vide finalmente in Roma , che per qualche tempo le fece dimenticare i sofferti danni.