pubblicamente beffalo; il die talmente lo punse,
che voltosi con grand’ardore alla studio di
"questa lingua, non si ristette, finchè in essa
ancora ei non divenne facondo ed eloquente
oratore (Spar. c. 3). Non vi ebbe quasi genere
alcuno di scienza cui egli non coltivasse, e
nello scrivere in prosa ugualmente che in versi,
e nell’aritmetica e nella geometria, e anche in
dipingere, in danzare, in sonare egli acquistossi
gran lode (ib. c. 14; Dio. l. 69). Nel tempo
ancor de’ conviti faceva rappresentare azioni
teatrali, e leggere poesie, o altri eruditi componimenti (Spart. c. 26). Alcuni libri in prosa
avea egli scritti, e tra essi la sua Vita medesima, benchè da lui pubblicata sotto i nomi
de’ suoi liberti, come narra Sparziano (c. 1 e 16);
ma assai più in versi (Dio. l. c.), tra’ quali
son noti quelli che diconsi da lui fatti vicino
a morte, e che si recano dallo stesso Sparziano (c. 25). Questo suo ardore nel coltivare gli
studj faceva concepire speranza che il suo impero sarebbe stato lor favorevole. E nondimeno
fu ad essi sommamente fatale. Adriano gonfio
del suo sapere, mal volentieri soffriva chi potesse esser creduto a lui superiore. Quindi solea
superbamente deridere i professori tutti delle
belle arti, e godeva di venir con essi a contesa; ma era cosa troppo pericolosa il non
confessarsi vinto; e celebre è il detto di Favorino, che essendo stato da Adriano ripreso
di una cotal parola da lui usata, nè difendendosi egli, come agevolmente poteva, ripresone
dagli amici: Oh voi, disse, mi consigliate pur
male a non creder più dotto di me un nomo