Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo II, Classici italiani, 1823, II.djvu/186

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ma non molto gli fu inferiore in ciò che è numero di poeti. Anzi alcuni degli scrittori di questa età ci parlano in tal maniera, che sembra non mai esservi stati tanti poeti, quanti a questa medesima. Giovenale scherza più volte sull insoffribile noia che era quella di dovere continuamente udir de’ versi; e, ciò che era peggio , pressochè tutti su’ medesimi triviali argomenti. Ninno , die’ egli (sai. 1, v. q), onosce vi glio la sua propria casa di quel ch’io conosca il bosco di Marte , e la spelonca de’ Ciclopi, e la forza de’ venti, e le ombre da Eaco tormentate. Così spesso udivasi egli ricantar queste fole da’ molesti poeti. E altrove (sat. 3, v. 9) tra gl’incomodi e i pericoli della città rammenta l’importunità de’ poeti che anche fra lo smanioso caldo d’agosto volevan pure costringere gli amici ad ascoltare i lor versi. Plinio il Giovane ancora ci descrive in una sua lettera il gran numero de’ poeti ch’era a’ suoi tempi in Roma; ma insieme si duole che il popolo cominciava ad annoiarsi di tanti versi. Gran copia di poeti, dic’egli (l.1, ep. 13), ci ha dato quest’anno. In tutto il mese et aprile appena vi è stato giorno in cui non siasi recitato da alcuno. Io ne godo , perchè si col(ivan gli studj, si esercitano e si producono gli ingegni; benchè, a dir vero, difficilmente raccolgansi ad udirli. I più si stanno sedendo a’ ridotti pubblici, e passano il tempo udendo novelle; e chieggon poscia se il recitante già sia entrato , se detta abbia! l’introduzione, se abbia già recitata gran parte del libro , e allor finalmente, benchè a lenti e stentati passi;