mediocrità da cui non esce se non chi può
liberamente secondare il suo talento ì
XXXIV. Come nondimeno frequenti erano
in Roma i teatrali spettacoli, furonvi ancora
molti scrittori di commedie e di tragedie. Tra
questi il solo che da Quintiliano si nomina con
elogio (l. 10, c. 1) e che da lui si dice superiore d’assai a tutti gli altri da lui conosciuti,
è Pomponio Secondo, di cui narra che i vecchi accusavanlo come non troppo tragico, ma.
confessavano nondimeno che in erudizione e
in eleganza superava tutti. Plinio il Vecchio,
di cui era stato amicissimo, aveane in due libri scritta la Vita (Plin. jun. l. 3, ep. 5); e più
volte si fa menzione di lui presso Tacito (l. 5
Ann. c. 8; l. 11, c. 13 , ec.) L’autor del Dialogo
sul decadimento dell’eloquenza il dice uomo
in gloria non inferiore ad alcuno (n. 13). E
questa gloria dalle sue tragedie singolarmente
gli fu acquistata. Plinio il Giovane di lui racconta
(l. 7, ep. 17) che allor quando alcuno dei suoi
amici esortar alo a far qualche cambiamento
nelle sue tragedie, e che egli noi giudicava opportuno, soleva provocare al giudizio del popolo, e ritenere ciò che esso col suo applauso
approvasse. Il march. Maffei vuole che ei fosse
veronese di patria (Verona illustr. par. 2). A me
non pare ch’egli ne rechi prova valevole ad
affermarlo; ma non vi ha neppure ragion bastevole a negarlo. Veggansi le notizie che intorno a questo poeta egli ha diligentemente
raccolte, e con lui si avverta che da questo
Pomponio Secondo vuolsi distinguere un altro
Pomponio bolognese scrittore di quelle favule