Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo II, Classici italiani, 1823, II.djvu/196

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Capo III.

Eloquenza.

I. L’eloquenza portata da Cicerone e da alcuni altri oratori che con lui vissero, alla sua maggior perfezione, fin da’ tempi d’Augusto, avea cominciato a decadere assai. Di questo decadimento abbiamo esaminata l’origine e le cagioni nel precedente volume (V. t. 1. p 3c)9, ec.), e abbiamo osservato che gran parte certo vi ebbe la diversa costituzione della repubblica, ma assai più il capriccio degli oratori, e il desiderio di andare innanzi in gloria a que’ che gli aveano preceduti. Questo nuovo e vizioso genere di eloquenza, il cui pregio era riposto singolarmente in un affettato raffinamento di pensieri, in uno smodato uso di sottigliezze che talvolta erano ingegnose, ma per lo più insipide e fredde, e in una cotaa’aria di maraviglioso, sotto cui travestivansi i più ordinarii sentimenti; questo nuovo genere, dico, di eloquenza usato e commendato da uomini che pel loro ingegno e sapere aveansi a ragione in gran pregio, e non combattuto dalla disapprovazione del popolo che appena avea allora occasione di mostrare col fatto qual conto facesse degli oratori, piacque per la sua medesima novità; e, come suoa’avvenire, tutti s’invaghirono di battere la nuova strada che vedeansi aperta innanzi; e tanto più eh1 ella aveva l’apparenza di più difficile assai, e perciò assai più gloriosa di quella che battuta avevano i i. Ragioni" principali del dei udiineuto delI’ eloquenza dopi„ la morie di Auu&lo.