Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo II, Classici italiani, 1823, II.djvu/202

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che nella prima parte erasi disputato. Gli altri ancora , benchè sostenitori di altro parere, fanno nondimeno gran plauso al discorso di Apro. Finalmente più circostanze si toccano della vita di Apro, che non degli altri che a questo Dialogo hanno parte. Tutte queste ragioni, ancorchè fossero vere, poco nondimeno gioverebbono, a mio credere, a stabilire una tale opinione. Ma l’esattezza e l’erudizione di questi rinnomati scrittori ci permetterebbe ella di nemmen sospettare che in questo Dialogo appena vi fosse alcuna di quelle cose ch’essi asseriscono? Eppure, o io nulla intendo di espressione latina, o certo vi trovo anzi in molte cose tutto il contrario. Donde raccolgono essi che lo scopo dell1 autor del Dialogo sia d’innalzare la moderna eloquenza sopra l’antica? E quale è mai questa introduzione in cui con una specie di trionfo si propone un tal sentimento? Eccola fedelmente tradotta: Spesse volte, o Giusto Fabio, mi chiedi, per qual ragione, mentre i passati secoli per F ingegno e pi r la gloria ih gli ora/or sono stati sì illustri, la nostra età priva in tutto e spogliata di cotal lode ritenga appena lo stesso nome di oratore p rciocche con qiu’ sto nome non chiami ani solo gli antichi: gli uomini eloquenti de’ nostri tempi chiamansi causidici, avvocati, patrocinatori, e con qualunque altro nome fuorchè con quel di oratori Appena ardirei io di soddisfare a cotesta tua dimanda, e di entrare in sì grande quistione in cui ci conviene giudi ar poco favorevolmente o dell ingegno degli uomini di questa età, se essi non possono