Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo II, Classici italiani, 1823, II.djvu/251

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2 I 4 LIBRO la pace, smorzate le fiaccole già accese, e fatte deporre le già sguainate spade, ossia impedita una guerra civile che era vicina ad accendersi: novum sidus illuxit.... lucem caliganti reddidit mundo Quot ille tum, extinxit faces? quot condidit gladios? quantam tempestatem subita serenitate discussit? Io so che alcuni pretendono che la notte di cui Curzio favella, si debba prendere in senso metaforico, cioè per la sconvolgimento in cui trovavasi la repubblica; e che non del tumulto di una sola notte vi si ragioni, ma di lunghe discordie. Ma le parole di Curzio escludono totalmente, s’io non m1 inganno, ogni senso non proprio. Il dire che una tal notte fu quasi l’ultima a Roma, non può certamente intendersi che di una vera notte, in cui il romano impero era stato a grande pericolo di sua rovina: noctis quam pene supremam habuimus. Chi mai parlando di guerra e di dissensioni che avessero quasi condotto a rovina un regno, direbbe con metafora che quella notte per poco non fu l’estrema a quel regno? Egli è ben vero che passa poi Curzio ad usare il senso metaforico con quelle parole: lucem caliganti redidit mundo; ma ciò appunto sta bene; che dalla notte che quasi era stata fatale a Roma , si tragga poi la metafora a spiegare la pace che il principe le avea renduta. In secondo luogo Curzio ragiona, a mio credere, di guerre civili impedite anzichè terminate. Di fatti egli avea parlato prima delle turbolenze che per la divisione del regno di Alessandro si erano eccitate; e conchiude che perciò il