Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo II, Classici italiani, 1823, II.djvu/279

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242 libro ben dovea conoscere il pericolo a cui con ciò si esponeva; perciocchè, come racconta lo stesso Seneca , leggendola egli un giorno pub. blicamente , ne ommise una gran parte , e volgendosi al popolo, queste cose ch’io or tralascio, disse, si leggeranno poscia dopo la mia morte. Ma non bastò questo a sottrarlo ad ogni pericolo; perciocchè divolgatesi le Storie da lui composte, furono esse ancora per pubblico ordine date alle fiamme; nella qual occasione racconta Seneca che Cassio Severo, poichè vide arsi gli scritti di Labieno, or, disse ad alta voce, convù n gittar me ancora alle fiamme, poichè io gli ho impressi nella memoria. A qual tempo ciò avvenisse, Seneca nol dice, e il Vossio sta incerto (De Histor. lat. l. 1, c. 24) se un tal fatto si debba credere seguito sotto il regno d’Augusto, o sotto quel di Tiberio. Ma di Augusto già abbiam veduto che troppo egli era lungi da queste crudeli maniere, le quali al contrario assai frequenti si videro regnando Tiberio. Labieno non volle sopravvivere a tal disonore; e fattosi condurre al sepolcro de’ suoi maggiori, ivi volle essere chiuso ancor vivo, e finirvi spontaneamente la vita. Caligola poscia insieme con le Storie di Cremuzio Cordo e di Cassio Severo quelle ancor di Labieno volle che si pubblicasser di nuovo, e che si potesser leggere impunemente (Svet. in Calig. c. 16); ma nulla ce n’è pervenuto. Di Cassio Severo già si è parlato nel tomo primo tra gli oratori. XXIII. Due altri storici rammentansi da Quintiliano, i quali convien dire che in forza e in