Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo II, Classici italiani, 1823, II.djvu/434

Da Wikisource.

primo 397

e sotto quel di Nerone si prese ancora a contraffare le macchie dei marmi stessi, aggiugnendo a quelle ch’eran loro naturali altre

<ref>ch’egli è anche glorioso il confessare gli errori, onde dalle proprie meditazioni non ne derivi altrui inganno ed ignoranza, come saviamente riflette Celso (l. 8, c. 4): Magno ingenio, multaque nihilominus habituro convenit etiam simplex veri erroris confessio, ec. ne qui decipiantur eadem ratione, qua quis ante deceptus est. Egli di più sarà animato a seguire l’esempio vostro, che in molti luoghi della vostra Storia, ma in questo passo precisamente, avete promesso al pubblico di abbracciare ben volentieri qualunque altra più confacente interpretazione, godendo di vedere finalmente illustrato questo sì oscuro passo di Plinio„. Io volli comunicar questa lettera allo stesso sig. Carlo Bianconi, ora segretario della reale Accademia delle Belle Arti in Milano; ed egli, lasciando l’antica sua spiegazione, e non parendogli abbastanza probabile quella con molto ingegno sostenuta dall’ab. Puccini, un’altra me ne propose alquanto diversa. Ecco la lettera che su ciò egli mi scrisse da Milano a’ 22 di decembre 1779: “Ho ricevuto giorni sono la gentilissima vostra delli 12 corrente, che di nuovo ricerca il mio parere sopra la lettera scrittavi dal sig. ab. Puccini in ispiegazione del noto passo di Plinio ove parla di Zenodoro, ec., lettera che mi mandaste tanto tempo fa allo stesso oggetto da me non mai adempito Eccomi alla fine ad obbedirvi. Non incolpate di mia straordinaria tardanza i favori e le grazie che ricevo da questi milanesi signori, credendomi da essi troppo distratto, ma piuttosto la renitenza che provavo a scrivere qualche cosa contro il sentimento (giacchè non mi accordo interamente con lui) di chi amo e stimo sommamente. Mi ha determinato alla fine il reiterato chieder vostro, ed il riflettere che Puccini, sempre amante del vero, non s’offenderà che, cercandolo anch’io, in qualche modo me gli opponga. Si venga dunque a ciò