Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo II, Classici italiani, 1823, II.djvu/493

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456 LIBRO Capit. l.c.). I Maurini aggiungono che il loro sentimento sembra ancor confermarsi da ciò che Ausonio dice di Tiziano. Or che ne dice egli? Dice (Gratiar. Act. ad Gratian.) che Tiziano fu dal suo discepolo sollevato all’onore del consolato, e che egli poscia reggendo la scuola ora in Besanzone ora in Lione, invecchiò in questo non molto onorevole impiego. Questo dee intendersi certamente del figlio, ma qui <Jj opere non si fa motto. Due altre volte ei fa menzion di Tiziano e di alcune favole da lui composte, e lo chiama fandi Titianus artifex (ep. 16 adProbum et Carm, ad eund.). E queste ancora è probabile che fossero opera del figlio, come si rende verisimile dall’aggiunto con cui Ausonio lo chiama: fandi artifex; e dal vedere eli’ egli non distingue il Tiziano di cui qui ragiona, dal Tiziano maestro di Massimino, di cui parla altrove. Ma che a Tiziano il padre si debba attribuir tutto ciò che di un Tiziano si legge negli antichi scrittori, come mai raccogliesi da Ausonio? Non vi ha dunque, a mio credere, motivo bastevole a dipartirci dal letteral senso di Giulio Capitolino che sembra parlar del padre; e di lui pare che intender si debba ciò ch’ei racconta; che scrisse egregii libri sulle Provincie dell’impero romano, i quali credesi che sieno que’ medesimi che da altri col titol di Corografia vengono citati (V. Fabr. Bibl. lat. t. 1, p. 410, ed. Ven.). Che a lui fosse dato il sopranome di Scimia, perchè affettava d’imitar lo stile degli antichi scrittori, confermasi ancor da Sidonio (l. 1, ep. 1), il qual rammenta le lettere da Tiziano scritte sotto il