Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo II, Classici italiani, 1823, II.djvu/508

Da Wikisource.

SECONDO 471 ¡¡ncora quali schiavi e quali amici avesse ognuno de’ principi, e quante vesti, la scienza delle quali cose non giova punto. E altrove (in Opilio Macrino, c. 1): Giunio Cordo ha voluto scriver le Vite di quegl’Imperadori cui vedeva essere men famosi; ma in ciò non è stato molto felice; perciocchè poche cose potè rinvenire, e quelle ancora non degne d? essere raccontate, essendosi egli medesimo prefisso di voler ricercare le più piccole cose, come se molto importar ci dovesse il saper di Traiano, di Antonino Pio e di M. Aurelio, quante volte uscisser di casa, come variassero i cibi, quando cambiasser le vesti, e chi promovessero e quando; le quali cose avendo egli volute narrare , ha riempite le sue Storie di favolosi racconti. Ma lo stesso Giulio Capitolino che riprende Cordo di un tal difetto, non ha saputo andarne esente egli stesso. Basta leggere alcune delle Vite da lui e dagli altri autori della Storia Augusta descritte, per riconoscere come essi ancora, contenti di accennare in breve le pubbliche rivoluzioni , si perdono inutilmente in racconti domestici di tali cose che a chi vive singolarmente lontan da que’ tempi non recano nè utile nè piacere alcuno. Così 1 esempio di Svetonio fu dagli altri imitato 3 e così avviene spesso che uno scrittore, singolarmente se sia uomo di qualche fama, basti ad infettare col suo esempio tutta una città e anche una intera provincia. VII. Or venendo a parlare degli storici greci che vissero almen qualche tempo in Roma, e le cui Storie ci son rimaste, giacchè di essi VII. Storici jyeri in Riunì j c primiera» oivule Ap-