Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo II, Classici italiani, 1823, II.djvu/533

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IV. Ei non lascia discepoli nè seguaci. 4i)G LIBRO convenga a chi parla di se medesimo. Egli è eloquente e colto nel suo favellare, ma prolisso oltre al bisogno. Tutti questi difetti però sono troppo ben compensati dalle massime, da’ precetti, dalle osservazioni utilissime di cui i suoi libri son pieni. Non giova ch’io rammenti gli elogi che di essi han fatto i medici più famosi. ]i)pocrate e Galeno son tali che non posson lod arsi meglio che col solo nominarli. IV. L’invidia di cui i medici ardevano contro di Galeno, fu la ragione probabilmente per cui egli non ebbe, per quanto io sappia, discepolo alcuno che cogli insegnamenti di lui giungesse ad acquistarsi gran nome in quest’arte medesima. Certo io non trovo a questi tempi alcun altro in Roma celebre in medicina. Forse a quest’epoca appartiene Celio Aureliano , di cui ancor ci rimangono alcune opere nella Raccolta de’ medici antichi pubblicata da Enrico Stefano. Nulla però si può affermare con certezza, poichè altri il voglion più antico, altri più moderno (V. Fabr. Bibl. lat. t. 2, p. 585). Nè egli appartiene al nostro argomento, poichè ei fu africano, nativo di Sicca nella Numidia. Niun altro scrittor latino di medicina abbiamo a questa età, e niuna cosa troviamo onde si possa illustrarne la storia. Solo leggiamo di Alessandro Severo ch’egli a un solo dei medici della Corte accordò un determinato stipendio; gli altri, che erano sei, volle che fosser paghi di averne il vitto (Lampr. in Alex. c. 42); il che sembra indicarci che non fosse allora in molto pregio quest’arte, e che non vi avesse gran copia di medici valorosi e degni di essere dalla Corte onorati e premiati.