Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo II, Classici italiani, 1823, II.djvu/58

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preliminare 21

entrare nella quistione, su cui in Francia tanto si è già disputato e scritto, intorno alla preferenza tra gli antichi e i moderni; questione, come leggiadramente dice M. de Fontenelle (Digression sur les Anciens et les Modernes), che si riduce finalmente ad esaminare e a decidere se gli alberi de’ nostri tempi sian più grandi, o più piccoli di que’ de’ tempi passati. Perciocchè se la natura o per esaurimento di forze , come alcuni moderni filosofi hanno pi eleso di dimostrare, o per cambiamento sopravvenuto al clima, ha sofferta notabile alterazione, ed è più languida e più spossata di prima, allora certo anche gl’ingegni de’ nostri giorni saranno più lenti e più tardi di que’ degli antichi. Ma se le forze della natura sono ancora le stesse, e se in tutte le altre cose ella adopera tuttavia coll’antica sua vivacità e robustezza, non si vede per qual ragione debbano i soli ingegni averne sofferto danno, e perchè abbiamo a dolerci di esser nati più tardi de’ nostri padri. Che dobbiam dunque noi crederne? Chiediamone alla stessa natura, e interroghiamola se ella trovisi ora indebolita, o cangiata. Ella ci mostrerà gli alberi, le frutta, le biade avere ora la stessa altezza, la forma , le proprietà medesime che avevano una volta. I buoi, i cavalli e gli altri animali tutti non son certo ora diversi da que’ di prima. Avravvi dunque diversità sol negli uomini? Ma questi nè son più piccioli, nè son meno fecondi, nè hanno men lunga vita di quel che avessero gli uomini di diciotto o venti secoli addietro. Dico di diciotto o venti secoli