Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo II, Classici italiani, 1823, II.djvu/601

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III. Co»!.ini ino nondimeno |»rotrg^e e fumea la pii litui i. 564 LIBRO parli, Roma era considerala come la capitale dell’impero d’Occidente, appena mai fu ella la ordinaria sede degl’imperadori; nè è perciò a stupire ch’ella venisse decadendo sensibilmente da quella grandezza a cui era salita ne’ secoli addietro, e che la presenza de’ Cesari, anche in mezzo al tumulto e al disordine deir impero, aveale conservato. Il danno però di Roma tornò a vantaggio delle altre città d’Italia3 poichè non essendo più ella il centro universale di tutto l’impero, gli studj che finora erano stati in gran parte ristretti in essa e racchiusi , si vennero felicemente spargendo all’intorno; e gli uomini dotti non essendo più tratti a Roma dalla speranza di acquistarvi gran nome, più volentieri trattennersi nelle lor patrie , e ad esse si renderono utili col lor sapere. III. Nondimeno, benchè Costantino per la sua Costantinopoli avesse quasi dimenticata Roma, non lasciò di favorire le scienze per tal maniera che Roma ancora e l’Italia se ne giovassero. Eusebio ce lo rappresenta come coltivatore dell’eloquenza, e dice che in età giovanile erasi diligentemente esercitato negli studj di amena letteratura (Vit. Constant. l. 1, c. 19); che soleva egli stesso comporre i solenni ragionamenti che in diverse occasioni teneva; che scrivendoli in latino, facevali poi dagl’interpreti traslatare in greco (ib. l. 4, c. 32, 55). Ma l’autorità di Eusebio parrà forse sospetta ad alcuni, come se egli abbia composto un panegirico anzi che una storia di Costantino. Ma oltrechè nell’Epitome delle Vite degl’Imperadori attribuita ad Aurelio Vittore si