Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo II, Classici italiani, 1823, II.djvu/606

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QUARTO 5GlJ ch’egli affettava bensì di mostrarsi amante di erudizione, ma che avendo ingegno ottuso, nè punto abile all’eloquenza, rivoltosi a verseggiare , non fece mai cosa alcuna di qualche pregio. E somigliante è il sentimento dell’autore dell’Epitome attribuita ad Aurelio Vittore, il qual dice (c. 66) ch’egli era bensì bramoso di mostrarsi eloquente, ma che non potendolo ottenere, mirava con occhio invidioso coloro ch’erano eloquenti. Questa invidia però non diede egli a vedere in riguardo al celebre filosofo e sofista Temistio. Questi l’an 347 gli recitò in Ancira un’orazione panegirica, e Costanzo l’anno 355 dichiarollo senatore in Costantinopoli , e scrisse in questa occasione al senato stesso una lettera , in cui il ricolmava di lodi singolarmente pel coltivare ch’egli faceva i filosofici studj. Temistio rispose a Costanzo con un’altra orazion panegirica, in cui lo esaltava come il più grande filosofo de’ suoi tempi. Due anni appresso, mentre Costanzo era a Roma, Temistio ne scrisse in Costantinopoli un encomio con una nuova orazione, e mandogliela; e Costanzo ricompensollo con una statua di bronzo che gli fece innalzare. Così Temistio e Costanzo si rendevano lode per lode, e onor per onore. Ma. nè gli elogi che Temistio fa di Costanzo, ci posson bastare perchè crediamo ch’ei fosse qual egli cel rappresenta; nè gli onori che Costanzo accordò a Temistio, ci basterebbono a credere ch’el ne fosse degno, se le sue orazioni che ci sono rimaste, non cel mostrassero colto ed eloquente scrittore. Si può vedere ciò che di Temistio