Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo II, Classici italiani, 1823, II.djvu/80

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preliminare 43

era quello il buon sentiero; additarono l’antico ch’era stato abbandonato; presero a batterlo essi stessi; ebbero a contrastare, e a soffrir ancora il dispregio di coloro che, non volendo confessare di aver errato, volean convincere di errore tutti gli altri; ma finalmente prevalsero. L’impegno usato in seguire il cattivo gusto si volse al buono. Si antepose a Seneca Cicerone, Catullo a Marziale, il Petrarca al Marini; il buon gusto si ristabilì; e durerà tra noi finchè l’amore di novità e di gloria non ci conduca a voler di nuovo lasciare il ripreso sentiero, e a tentarne un altro che ci conduca a rovina. Ma non così accadde, nè così poteva accadere nel decadimento seguito dopo la morte d’Augusto. XXIX. Se quando fu cessato quel primo impetuoso amore di novità che entrò allor tra’ toma ni, l’Italia si fosse trovata nelle circostanze medesime in cui si è trovata dopo la decadenza dello scorso secolo, io penso che le lettere sarebbon risorte all’antico onore. Ma i tempi non eran punto a ciò opportuni. Vuolsi qui ricordare ciò che abbiam detto di sopra, delle cagioni per cui poco furono coltivati gli studj in queste età, e tanto meno, quanto più si venne innanzi fino a Carlo Magno. Le guerre civili, la noncuranza di quasi tutti gli imperadori, l’invasione de’ popoli barbari, la cessazion dei motivi e degli stimoli, fecero illanguidire f impegno nel coltivare gli studj. Vi ebbe de’ poeti, degli storici, degli oratori; ma o eran letti da pochi, o se eran uditi da molti , questi non erano per lo più uomini che o sapessero, o si curassero di giudicarne. QuimU