Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo II, Classici italiani, 1823, II.djvu/90

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preliminare 53

nondimeno, se così ci piaccia, attenendoci alle leggi grammaticali che da ciascheduno si apprendono facilmente, e valendoci de’ buoni libri de’ quali abbiamo gran copia; possiam, dico, scrivendo con eleganza acquistarci lode o uguale, o inferiore di poco a quella de’ migliori autori che ci prendiamo a modello. XXXVI. Un’altra riflessione per ultimo gioverà , a mio credere, a mostrare sempre più chiara la verità di questo mio sentimento. Ne-, gli scrittori che fiorirono al fine del secolo xv [ e al principio del secolo xvi, noi veggiamo una scrupolosa, e direi quasi superstiziosa riflessione a tenersi lungi da qualunque menoma ombra dell’antica rozzezza, e a sfuggire qualunque parola, o qualunque espressione non fosse secondo i più perfetti esemplari dell’età di Augusto; affettazione graziosamente derisa da Erasmo nel suo Dialogo intitolato Ciceronianus. I misteri della religione, a spiegazione dei quali non potevano essi certo trovare negli antichi autori del secol d’oro le opportune espressioni , spiegavansi o con termini greci, o con lunghe perifrasi, e talvolta ancora con parole che troppo sapevano di gentilesimo per essere adattate a’ cristiani misteri. Una tale superstizione giunse perfino a far cambiare ad alcuni i natii lor nomi in altri presi da’ Latini o da’ Greci, come fecero il Parrasio, il Sannazzaro, il Paleario ed altri. E più oltre ancor giunse il P. Giampietro Maffei gesuita, se vero è ciò che di lui si racconta, cioè che per non contrarre punto di quella poco latina semplicità con cui sono scritte le preci ecclesiastiche,