nondimeno, se così ci piaccia, attenendoci alle
leggi grammaticali che da ciascheduno si apprendono facilmente, e valendoci de’ buoni libri de’
quali abbiamo gran copia; possiam, dico, scrivendo con eleganza acquistarci lode o uguale,
o inferiore di poco a quella de’ migliori autori
che ci prendiamo a modello.
XXXVI. Un’altra riflessione per ultimo gioverà , a mio credere, a mostrare sempre più
chiara la verità di questo mio sentimento. Ne-,
gli scrittori che fiorirono al fine del secolo xv [
e al principio del secolo xvi, noi veggiamo una
scrupolosa, e direi quasi superstiziosa riflessione a tenersi lungi da qualunque menoma ombra dell’antica rozzezza, e a sfuggire qualunque parola, o qualunque espressione non fosse
secondo i più perfetti esemplari dell’età di Augusto; affettazione graziosamente derisa da Erasmo nel suo Dialogo intitolato Ciceronianus.
I misteri della religione, a spiegazione dei quali
non potevano essi certo trovare negli antichi
autori del secol d’oro le opportune espressioni , spiegavansi o con termini greci, o con
lunghe perifrasi, e talvolta ancora con parole
che troppo sapevano di gentilesimo per essere
adattate a’ cristiani misteri. Una tale superstizione giunse perfino a far cambiare ad alcuni
i natii lor nomi in altri presi da’ Latini o da’
Greci, come fecero il Parrasio, il Sannazzaro,
il Paleario ed altri. E più oltre ancor giunse
il P. Giampietro Maffei gesuita, se vero è ciò
che di lui si racconta, cioè che per non contrarre punto di quella poco latina semplicità
con cui sono scritte le preci ecclesiastiche,