Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo III, Classici italiani, 1823, III.djvu/141

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8u unno soprastante al regio palazzo: che colla sua autorità avea protetto i miseri contro l’avarizia ed il furore de’ Barbari, ed altre somiglianti cose da sè operate a comune vantaggio, or ti pare, die’egli, che io abbia eccitato contro di me abbastanza d invidia?.... Ma chi sono coloro sull’accusa de’ quali io sono stato oppresso? Basilio, privo già degli onori di cui godeva alla corte, da’ suoi debiti stessi è stato indotto ad accusarmi. Opilione e Gaudenzio essendo stati pe’ molti loro delitti dal re dannati all’esilio, ed essendosi essi per non ubbidire ritirati in luogo sacro, il re avvertitone comandò che se entro il prefisso giorno non fossero usciti di Ravenna, colf impronto d infamia in fronte ne fosser cacciati Or accusandomi essi in quel giorno medesimo, l’accusa fu ricevuta. Quindi prosegue egli ad esporre di quai delitti venisse accusato, cioè di aver vietato che un delatore non recasse a Teodorico i documenti con cui pretendeva di accusare il senato di lesa maestà, e di avere scritte lettere colle quali mostrava di aver concepita speranza che Roma fosse per tornare all’antica sua libertà; e finalmente aggiugne parlando colla Filosofia: Tu ben ti ricordi, allor quando il re cercando la comune rovina volea addossare a tutto il senato il delitto di lesa maestà opposto ad. Albino,, con qual franchezza anche con mio pericolo io difendessi il senato medesimo?... Ma tu vedi qual frutto io abbia raccolto dalla mia innocenza: in vece del premio alla vera virtù dovuto, io porto la pena di un falso delitto. Ma se Boezio si dichiara innocente, e se