Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo III, Classici italiani, 1823, III.djvu/16

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In lin"tw d6 ■*‘>rl e *a >>n^ua della conversazione, che prima non eran guari diverse l’una dall’altra, divenute per tal modo dissomiglianti, che più non sono la stessa. I dotti l’imparan da’ libri; e benchè o il poco studio , o la scarsezza dei libri stessi, e l’infezione , per così dire , dell’universale contagio , renda le loro opere comunemente troppo diverse dalle antiche, esse nondimeno si posson in qualche modo dire latine. Il volgo al contrario, che contro il contagio non ha riparo di sorte alcuna , col corso di molti secoli ha fatto nel ragionare sì gran cambiamento, che non si può più dire ch’ei parli latinamente; e se ode alcuno parlare in questo linguaggio, più non l’intende. Esso usa ancora molte parole latine; latina è spesso la desinenza, e la sintassi latina: ma in mezzo a queste scarse reliquie dell’antica sua lingua tante cose nuove si son già introdotte, che quelle vi restano interamente sommerse. Così dall’unione degli stranieri co’ nazionali e dal vicendevol loro commercio si forma un nuovo linguaggio; ma linguaggio assai rozzo e informe, senza determinate leggi, senza esemplari da imitare, e che solo dipende dal capriccio del volgo. Non è dunque a stupire se per molti secoli non si prendesse a scrivere in questa lingua , si perchè non poco spazio di tempo fu necessario a renderla cosi diversa dalla latina, che divenisse allra lingua; si perché essendo ella usata solo dal volgo, non pareva che all’onor de’ dotti si convenisse l’introdurla ne’ libri. Ma si trovò finalmente chi ebbe coraggio a tentarlo, e ardì di adoperare scrivendo un linguaggio cl.e non pareva ancora a tal fine opportuno. E veramente i primi saggi che abbiamo di lingua italiana, ci mostrano quanto ella sapesse ancora di barbaro, e come non avesse ancora del tutto dimenticata l’antica sua madre. Noi non dobbiamo cercar gli esempj della nascente lingua italiana in quegli scrittori che benchè vissuti ne’ primi anni di essa , furono poscia dati alle stampe travisati non poco, e vestiti, per così dire, all’usanza moderna; ma negli antichi codici cercar li dobbiamo, o in quelle edizioni che ai codici stessi sono esattamente conformi. Io ne recherò un solo esempio tratto da alcuni versi di un poeta milanese che pur non fu de’ più antichi, e