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XVI PREFAZIONE
scrivea l’anno 1264, e che da un codice sono stati pubblicati dall’A (gelati (BibL Script, mediol. t. 1, pars 2,
p. 129.
Como Deo a facto lo Mondo,
Et como de terra fo lo homo formo,
Cum cl de scende de cel in terra
In la vergene regal polzella ,
Et cum el sostene passion
Per nostra grande salvation ,
Et cum verà el dì del ira
La o serà la grande roina ,
AL peccator darà grameza,
Lo justo avrà grande alegreza.
Ben e raxon ke V homo intenda
De que traira sta legenda.
E al fine del codice stesso così si legge:
In mille duxento sexanta et quatro
Questo Libro si fo facto ,
Et de JUnio si era lo prumer dì,
Quando questo dito se fenì ,
Et era in secunda diction
In un Venerdì abassando lo Sol.
Petro de Bersagapè ke era un Fanton
Si ha facto sto sermon,
Si il compillio et si la scripto
Ad honor de Jhu Xpo.
Ognun vede qual linguaggio sia questo, quanto ritenga
ancor del latino, e quanto insieme se ne discosti. Ed
eran già circa cento anni che erasi cominciato a scrivere in cotal lingua, come altrove diremo, e nondimeno
ella avea fatto ancora si poco progresso.
Per qual ragione andasse si lentamente avanzandosi
la lingua italiana, non è difficil l’intenderlo. La stessa
lingua latina nelle diverse provincie e nelle diverse città
d’Italia parlavasi diversamente. Quindi diverse ancora
furono le mutazioni che nel parlar s’introdussero, anche perchè, non avendo esse altra legge che il capriccio del popolo, era impossibile che in tutte le città fosse
uniforme e somigliante il linguaggio. Ed ecco in tal modo
formarsi i diversi particolari dialetti che veggiamo anche
al presente nelle città italiane. Questi eran già così usati
fin da’ tempi di Dante, che egli potè trattare di ciascheduno
nel suo libro della Volgare Eloquenza [l. i, c. io, ec.),