Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo III, Classici italiani, 1823, III.djvu/18

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PREFAZIONE XVU e recarne saggi, e confrontarli tra loro. Or finché gl’ 1taliani non si accordarono insieme a ripurgare e ad abbellire la loro lingua, non è maraviglia ch’essa non facesse se non lenti progressi. A perfezionare una lingua convien prima che o si scelga tra’ diversi dialetti qual sia quello che voglia condursi a perfezione, o scegliendo il meglio da tutti, se ne formi una lingua generale e fondata su certi e determinati principj. Dante dopo aver ragionato de’ particolari dialetti delle città italiane, passa a favellare di quello ch’ei chiama comune a tutti gl’italiani (c. 16, ec.), e a cui dà i magnifici nomi d1 illustre, cardinale , aulico e cortigiano. Ma questa lingua sì nobile ove trovavasi! ella mai / Dante, qualunque ragione se n’avesse, non volle farne onore nè a’ Toscani in generale, nè in particolare a’ Fiorentini, de’ quali e del lor dialetto egli anzi parla con sì gran biasimo , che si è creduto da alcuni che.questo libro gli fosse stato falsamente attribuito; di che però non vi ha il presente uom saggio che ardisca pure di dubitare, Io non debbo qui ricercare se in ciò debba credersi a Dante -, nè voglio espormi a pericoli di rinnovar le calde contese che su tale argomento si eccitarono tra’ letterati del secolo XVI. Io riferisco il parere di questo antico scrittore, e lascio che ognun ne giudichi a suo talento. Convien però confessare che Dante, dopo aver biasimato ciascun de’ dialetti italiani, fra’ quali il bolognese è quello che sembri spiacergli meno , parla del suo volgare illustre, cardinale, aulico e cortigiano in maniera alquanto enigmatica e misteriosa; perciocchè ei dice, secondo la traduzione italiana, a cui è interamente conforme I’ originale latino , questo volgare essere quello che in ciascuna città appare, e che in niuna riposa; e poco appresso soggiugne ch’è quello di tutte le città italiane, e non pare che sia di niuna, Parole, delle quali sembra difficile ad intendersi il senso. Conciossiachè , s’è vero, come afferma Dante, che non vi ha città in Italia , in cui non si usi dialetto vizioso , questo suo volgare illustre onde sbucò egli mai, e qual patria ebbe? Dante confessa che di esso hanno usato i poeti d’ogni provincia d’Italia. Questo veramente, die"egli (c. 19), hanno usato gl’illustri dottori che in Ti RAliOSCll 1, Vol. HI. b