Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo III, Classici italiani, 1823, III.djvu/193

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i32 libro Procopio (ile Bello got/u l. 3), rimandarle con gran denaro alle lor cose; che crederem noi che avvenisse, quando sceser di nuovo per occupare l’Italia tutta? Lo stesso Paolo Diacono, eli era pure della lor nazione, non potè dissimular nè tacere le pruove eli’ essi in ogni parte diedero della loro crudeltà. E singolarmente parlando de’ tempi del mentovato interregno (De Gestis Lang. l. 2, c. 32) egli usa quasi le espressioni medesime che abbiam veduto usarsi da S. Gregorio. È vero ch’egli da questa devastazione eccettua i paesi che da Alboino erano stati conquistati: exceptis his regionibus, quas Albuin ceperat. E in fatti a questi soli restringe il ch. Muratori l’invidiabile felicità del regno de’ Longobardi. Per ciò che appartiene alle provincie vicine a Roma, a Ravenna e ad altre città che si tenevano ancor fedeli a’ greci imperadori, confessa egli stesso che le guerre continue tra’ Longobardi e i Greci le condussero a infelicissimo stato. Ma anche il centro, per così dire, del loro regno non andò esente da sconvolgimenti, da rovine, da stragi. Comunque bella e piacevole sia la pittura che del regno de’ Longobardi ci fa Paolo Diacono, dicendo (l. 3, c. 16) che non vi si commettea nè violenza nè insidia di sorte alcuna , che niuno era da altri angustiato e spogliato , che non vi eran nè rapine nè furti, e che ognuno andava liberamente ove parevagli meglio; comunque concedasi che in quest’elogio non avesse alcuna parte l’adulazione, egli è però troppo evidente che se non per la malvagità de’ nuovi padroni, almeno per le vicende