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Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo III, Classici italiani, 1823, III.djvu/197

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136 LIBRO da’ gemiti. Non vi ha alcuno che ad essa ne venga per ingrandirsi, ec. Così ragionava il Santo, mentre l’esercito di Agilolfo accostavasi a Roma. Ma quando il turbine fu più vicino, tal fu lo spavento e la costernazione comune, che il santo pontefice dovette sospendere il corso delle sue omelie: Niun mi riprenda, egli dice I (ffom. ult. in Ezech.), se dopo questo sermone io farò fine, perciocchè, come tutti vedete, troppo sono cresciute le nostre tribolazioni. Da ogni parte siam circondati da spade, da ogni parte ci soprasta pericol di morte. Altri a noi sen ritornano colle mani troncate, di altri udiamo che sono stati o condotti schiavi, o uccisi. Io son costretto a sospendere la sposizione della Divina Scrittura, perchè omai la vita stessa mi è a noia. Di queste funeste calamità duolsi ancora sovente nelle sue Lettere, e in una singolarmente da lui scritta all’imperador Maurizio l’an 595 (l. 4- cp. 3 2) in cui con una eroica umiltà congiunta a una magnanima sacerdotale fermezza si discolpa dalle accuse dategli di soverchia semplicità nel trattar della pace co’ Longobardi; lettera ch’io volentieri recherei a questo luogo, se la lunghezza e la niuna attenenza di essa al mio argomento non mel vietasse. Mi basterà dunque accennare ciò ch’egli dice dell’accostarsi che fè a Roma Agilolfo. Piaga assai grave, egli dice, fu 1 accostarsi del re Agilolfo a Roma, perciocchè io vedeva co’ miei proprj occhi i Romani con funi legate al collo a guisa di cani condursi in Francia per esservi venduti schiavi | Tal dunque era la maniera di guerreggiare de’