Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo III, Classici italiani, 1823, III.djvu/201

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• 4° LIBRO Leggasi ciò che lo stesso Muratori racconta del barbaro trattamento che il re Grimoaldo fece agli infelici abitanti di Forlimpopoli (ad an. 667), delle crudeltà commesse dal re Ariberto per assicurarsi il trono (ad an. 704), della condotta tenuta dal re Liutprando co’ nobili Longobardi del Friuli, e col loro duca Pemmone (ad an. 737), e molti altri fatti particolari da lui narrati, i quali ci mostrano chiaramente che benchè essi deponessero in parte l’usata loro rozzezza, e benchè alcuni tra’ loro debbano a ragione aversi in conto di ottimi principi, non se ne svestiron per modo, che tratto tratto non ne dessero qualche segno. Ma checchessia di ciò, egli è certo che non abbiamo alcun monumento, non solo che da veruno tra’ re longobardi si coltivasser le lettere, ma che si accordasse loro da essi protezione ed onore. In tutte le loro leggi noi non troviamo la menoma menzione di studj di sorta alcuna. In tutta la storia, se se ne tragga qualche onore renduto da Cuniberto a un cotal gramarico Felice, di cui poscia ragioneremo, non veggiamo che alcun di essi pensasse a fomentare col regal favore gli studj. Forse, se i re longobardi avessero avuto a’ fianchi un Cassiodoro, o un Boezio, avrebbon anch’essi premute le belle tracce di Teodorico. Ma in mezzo a tante sventure troppo era difficile ad avvenire che sorgessero valorosi ristoratori della letteratura italiana. Lo stesso eruditiss. Muratori, difenditore per altro e discolpatore ingegnoso de’ Longobardi, confessa (ad an. 587) che fra gli altri malanni recati all Italia dalla