Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo III, Classici italiani, 1823, III.djvu/258

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SECONDO jy^ ne conoscevano il nome. I Greci, ch’eran padroni dell’altra, giaceansi essi ancora di questi tempi in una profonda ignoranza. Gl’Italiani gemevano fra le comuni sciagure; e ancor negli anni men torbidi a chi potevan essi sperar di piacere co’ loro studj, e qual premio e da chi potevano aspettarsene? Privi di scuole, di maestri, di libri, come potevano divenire oratori, poeti, storici valorosi; ancorchè a dispetto, per così dire, delle pubbliche calamità avesser cercato di rendersi eccellenti in quest’arti? La descrizion dello stato in cui trovossi l’Italia nel vu e neU’ vin secolo, che abbiam fatta nel primo capo di questo libro, dee già aver prevenuti bastevolmente i lettori, sicchè essi non si maraviglino al vedere sì pochi e sì infelici coltivatori dell’amena letteratura. La Grecia stessa che pure non fu soggetta alle funeste vicende a cui soggiacque l’Italia, era anch’essa in un deplorabile stato; e basti riflettere a ciò che narra lo stesso S. Gregorio il Grande, cioè che in Costantinopoli non trovavasi chi sapesse felicemente recare una qualche si fosse scrittura di greco in latino, o di latino in greco (l. 7, ep. 30). Nè dissomigliante era la condizion della Francia, come han dimostrato gli eruditi Maurini da noi più volte citati. Noi verrem dunque diligentemente cercando, quanto ci sarà possibile, que’ pochi frutti di amena letteratura, che produsse di questi tempi l’Italia, e ci anderem confortando sulla speranza, benché ancora lontana, di più lieta messe. II. E primieramente vuolsi avvertire che lo studio della lingua greca, che prima era sì a. L«> studio pero della