Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo IV, Classici italiani, 1823, IV.djvu/227

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ao6 LIBRO Wadingo (Ann. Minor, t 3 , p. 171 , ec., aio; t 4} p- 3, ec. b Io debbo solo cercare ciò che appartiene a’ sacri studi da lui coltivati. Nè mi tratterrò a ragionare di alcune opere di non molta importanza da lui composte, delle quali ragionano l’Oudin (De Script, eccl. t. 3, p.) e il Fabricio (Bibl. med. et inf. Latin. t 4, p. 11 a). Più degna d’essere esaminata è la questione se ei fosse l’autore d’un empio libro che, mentre egli vivea, videsi uscire alla luce, latinamente intitolato Evangelium aeternum. Bollivano allora le spesso accennate contese tra l’Università e i Mendicanti, quando verso l’anno 1254, come afferma Guglielmo da Santamore (De peric, novissim. tempor. c. 8), cominciò a spargersi segretamente il detto libro. Era esso tessuto di strani e ridicoli errori tratti in gran parte dalle Profezie non ben intese dell’abate Gioachimo. Il dotto P. Natale Alessandro ne ha fatto un breve epilogo (Hist eccl. saec. XII, c. 3, art. 4), ed essi riduconsi in somma ad anti’ porre la dottrina di Gioachimo a quella del Vecchio e Nuovo Testamento; ad affermare che il Vangelo di Cristo sarebbe cessato l’anno 1260, e che un altro Vangelo di spirito sarebbesi allor promulgato; a innalzare le Religioni de’ Mendicanti sopra qualunque altro Ordine ecclesiastico, e a dare ad esse il governo della nuova Chiesa che fondar si dovea, ed altri somiglianti sogni. Questo sì empio libro diede a’ professori dell’Università di Parigi troppo bella occasione di accender l’invidia e lo sdegno di tutti contro de’ Mendicanti; e mentre questi adoperavansi perchè fosse dannato il libro da Guglielmo