Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo IV, Classici italiani, 1823, IV.djvu/251

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XXXV. Niccolò da Otranto sostenitore de’ medesimi errori. a3o LIBRO conservano alcuni codici mss. de’ quali parlano i PP. Querif ed Echard (Script. (Ord. Praed. t. 1, p. 156), che fanno ancor di quest’opera una diligente analisi. Dalle prefazioni ad essa premesse dal Doto essi inferiscono che F. Buonaccorso fu di patria bolognese, che in età giovanile passato in Grecia vi apprese felicemente la lingua, e per 45 anni attese istancabilmente alla conversione degli Scismatici, a cui vantaggio ancora scrisse quest’opera. Egli fiorì, per quanto si congettura, verso la metà del secolo XIII, ma non si può determinar fissamente il tempo a cui visse. XXXV. Ma se l’Italia produsse valorosi sostenitori della cattolica Religione, ebbe ancora il dolore di rimirare tra i suoi non solo molti Eretici, i quali comunemente non erano uomini dotti, ma uno ancora che abusò del suo ingegno e del suo sapere contro di essa. Fu questi Niccolò da Otranto, così detto dalla sua patria, il quale, passato non so per qual motivo in Grecia, si lasciò avvolgere nello scisma e negli errori di cui que’ popoli erano infetti. Egli allor quando Innocenzo III mandò colà il Cardinal Benedetto a trattare la riunione di quella Chiesa colla latina, servì d’interprete, essendo ben versato nell’una e nell’altra lingua, come egli stesso racconta in alcune delle sue opere da lui scritte in difesa de’ suoi errori contro i Latini; cioè sulla processione dello Spirito Santo, sulla consecrazione dell’Euearistia, sul matrimonio de’ sacerdoti, e su altri somiglianti punti di controversia. Di lui parla lungamente l’Allacci, che reca ancora alcune particelle delle opere da lui