Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo IV, Classici italiani, 1823, IV.djvu/267

Da Wikisource.

2^6 LIBRO era condotta, sì pel disprezzo con cui soleva essere ricevuta; ma ora vedevasi da lui amata e onorata. Quindi racconta che Urbano godeva di aver seco alla mensa molti valorosi filosofi, e che levate le tavole usava condurli seco, e fattili sedere a’ suoi piedi, li faceva venire a dispute erudite l’uno coll’altro} ch’egli stesso proponeva i problemi su cui doveasi disputare; che pesava ed esaminava le ragioni addotte dall’una parte e dall’altra, e facea per ultimo diffinire qual sentimento dovesse preferirsi agli altri. Aggiugne di sè il Campano, ch’egli era un de’ filosofi a cui Urbano avea conceduto sì grande onore; e conchiude, dicendo ch’egli perciò in testimonio di sincera riconoscenza gli offre il presente suo libro. Questo contrassegno di onore, con cui Urbano IV distingueva i filosofi, dovette certo contribuire non poco a rivolger molti allo studio di una scienza che vedeasi da si gran personaggio cotanto apprezzata. VI. Egli però non fu pago di fomentar questo studio con tali onori. Aristotele era allora l’oracolo della filosofia, e credeasi che a questo fonte soltanto si potesse attinger la scienza del vero. Ma poche eran le opere di questo filosofo che si leggesser tradotte in latino, ed ancora avean bisogno di chi diligentemente le illustrasse. Ei pose perciò gli occhi sul più mi hi sedute pergiurerai, nihil invenirem in mee panperiatis armario, quod auderem tante Celsitudini presentare , tandem Uicina largitas, que. datoriali nihil irnproperat, et dot omnibus habundatuer , mi Ili quiddam operilit, quod, ec.