Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo IV, Classici italiani, 1823, IV.djvu/269

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248 LIBRO e di codici antichi provano chiaramente ch’egli in gran parte fu traduttore dell’opere di Aristotele, e ciò che è degno di osservazione, sì è che comunemente ei le tradusse non dall’arabo, ma dal greco; perciocchè in molti de’ monumenti da questi scrittori allegati dicesi espressamente che il tale e il tal libro furon tradotti dal greco, e si rammentano i greci esemplari su’ quali s’era formata la traduzione. Ma Guglielmo non era italiano, e perciò io non debbo esaminar le fatiche da lui intraprese, e mi basta accennarle per gloria di S. Tommaso, che ad esse animollo. Per ciò che appartiene a’ Comenti di S. Tommaso, io non dirò che essi contengano la più esatta dottrina, singolarmente in ciò che spetta alla fisica. Questa era ancora troppo lungi da quella luce a cui è giunta nei tempi a noi più vicini. Ma è degna d’esser qui riferita l’osservazione di Eusebio Renaudot (De barbarica Arist. Versione ap. Fabr. lì ibi. gr. t. 12, p. 259), cioè che non può abbastanza ammirarsi l’ingegno e la penetrazione di S. Tommaso, il quale avendo sotto gli occhi versioni e comenti non troppo opportuni a illustrare Aristotele, ciò non ostante nell’interpretarlo superò di gran lunga non sol gli Arabi, ma molti ancora de’ greci comentatori. Nè è maraviglia che anche le versioni fatte per opera di S. Tommaso non fossero troppo esatte. Il Bruckero lo attribuisce alle traduzioni arabiche infedeli e scorrette, di cui egli crede che i traduttori si valessero. Noi abbiam dimostrato che essi si valsero ancora, almen talvolta, del testo greco. Ma nondimeno non è